Oltre i nazionalismi: la cosmopolitica

Federico Gobbo
4 min readJun 9, 2019

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Danube, Hainburg an der Donau. Copyright: Federico Gobbo 2019

Mercoledì 29 maggio ho fatto una gita. Mi trovavo a Bratislava, aspettando l’inaugurazione dell’edizione di quest’anno del Polyglot Gathering, il convegno dove si riuniscono poliglotti dall’Europa e da altre parti del mondo. La gita in giornata prevedeva di visitare tre Paesi: Slovacchia, Ungheria e Austria.

Nel pullman la guida, Peter, un quarantenne slovacco, ci spiegava l’emozione di passare il confine con l’Austria poco prima della caduta del muro di Berlino, e vedere nelle vetrine gli orologi da polso digitali giapponesi. Molti dei partecipanti alla gita, poco più che ventenni, lo indossavano in quel momento, perché gli Anni Ottanta sono tornati di moda negli Anni Dieci.

L’infanzia di Peter era stata costellata dall’ascolto, in segreto, delle trasmissioni radio austriache. Dalla finestra della sua cameretta, da ragazzo, vedeva il muro che divideva l’Occidente dal Centro Europa. Per lui, era la fine del mondo e la promessa di un mondo migliore.

Ricordo bene quel momento. Avevo quindici anni quando il Muro (ce n’era solo uno, per noi europei, allora) cadde. Ich bin ein Berliner, tutti si sentivano parte di quello straordinario momento. Peter raccontava le ore passate al posto di blocco alla frontiera a pochi kilometri da Bratislava per andare nel Paese amico di allora, l’Ungheria. Anch’io ricordo che bisognava avere il visto per andare “dall’altra parte”, così dicevamo.

Quando ci siamo avvicinati con il pullman all’edificio della frontiera, dall’aria mesta e cadente, in automatico sono andato a cercare il mio passaporto, colto da un’ansia che non ricordavo di poter provare.

Nel mentre, l’autista rallentava, salutava i due soldati sul confine, e passava dalla Slovacchia all’Ungheria. Non ricordavo più quell’ansia, era sepolta con la mia giovinezza. Intanto, i ventenni in gita nel pullman, commentavano le parole di Peter stupiti, nelle varie lingue presenti al convegno: slovacco, tedesco, spagnolo, francese, russo, esperanto, ungherese, italiano – oltre all’onnipresente inglese, naturalmente.

In un giorno abbiamo fatto colazione in Slovacchia, pranzo a base di gulash in Ungheria, merenda sul Danubio con mélange (una specie di cappuccino) e Sachertorte, e infine un aperitivo in una cantina vinicola austriaca, con il mio preferito, il Gewürztraminer.

Quando avevo io l’età di questi ragazzi (sono coetaneo della nostra guida, Peter) non avrei potuto nemmeno immaginare nei miei sogni più reconditi una gita del genere.

Il libro di Lorenzo Marsili «La tua patria è il mondo intero» (Laterza, 2019) parla non di un mondo a venire ma di una realtà che già c’è.

Ne è un esempio la mia gita con i poliglotti. È solo che questa realtà, mondiale prima ancora che europea, qualcuno si ostina a non vederla.

(Per trasparenza, va detto che ho incontrato Lorenzo due volte di persona, una a Milano, una ad Amsterdam, e che sono iscritto al movimento da lui fondato assieme a Yanis Varoufakis, DiEM25. Segue una sorta di recensione.)

Mi piace pensare che il messaggio cosmopolitico dell’autore arrivi al cuore dell’Europa, tra Austria, Ungheria e Slovacchia. Tre Paesi, tre lingue, tre famiglie linguistiche, tre culture, una convivenza possibile. Ma cosa vuol dire ‘cosmopolitica’?

Non siamo più in un’epoca post-nazionalista, sulla cui base sono costruiti tradizionalmente gli Stati Uniti d’America, per esempio. Lì, non importa tanto se sei italiano, irlandese o cinese, l’importante era essere americani. Oggi siamo oltre il nazionalismo, sostiene l’autore. Il rigurgito xenofobo e razzista che mette in scena il peggior nazionalismo ne è, paradossalmente, la prova.

L’autore espone il suo concetto di cosmopolitica im uno stile narrativo, quasi un diario di viaggio, che parte dalla Cina per giungere alla sua storia familiare, passando attraverso geografie dei luoghi e delle idee dei quattro angoli del mondo. Non è una lettura facile, per quanto scorrevole: Lorenzo Marsili è colto e non se ne vergogna: riesce nel difficile compito di accompagnare per mano il lettore che abbia la pazienza di una lettura lenta, che si sofferma sui passaggi cruciali.

La cosmopolitica parte dalla consapevolezza che l’internazionalismo, variamente declinati, non riesce più a dare un senso propositivi alla situazione geopolitica attuale. Anziché basarsi su un’identità chiusa, uniforme e coesa, rappresentata dal concetto di ethnos, il mondo del nuovo Millennio si basa su identità aperte, articolate e interdipendenti, rappresentate dal concetto di demos.

Superare il nazionalismo significa ridare un respiro universale alle élites che ragionano lungo gli angusti limiti nazionali. Nelle parole dell’autore, significa «sviluppare nuove forme politiche e una nuova idea del nostro ruolo nel governo del mondo. […] Inventare una cosmopolitica per una nuova era non richiede la federazione di Stati o la distopica visione di un governo mondiale da cui sarebbe impossibile sfuggire.»

È da notare che le fondamenta filosofiche della cosmopolitica non sono solo greche e quindi occidentali, ma anche cinesi – l’autore spiega brillantemente cosa significa Tianxia ai non addetti ai lavori – passando per la filosofia moderna, e in particolare il pensiero di Antonio Gramsci.

Iconicamente, la cosmopolitica viene rappresentata dalla mappa del mondo Hobo-Dyer, che rende giustizia alle proporzioni tra le terre emerse del globo molto di più delle mappe a cui siamo abituati, dove l’Italia campeggia – enorme – al centro. Perché? Per un motivo storico: i primi cartografi erano italiani, o per meglio dire veneziani e genovesi.

La cosmopolitica è una concezione rivoluzionaria in senso profondo: la vera rivoluzione inizia sempre cambiando radicalmente il punto di vista.

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Written by Federico Gobbo

Homo sum. Adpositional Argumentation. BaGuaZhang. Lebenskünstler. Eŭropano Italiano Amsterdammer. Ubi bene, ibi patria.

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