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Una notte sognava la tastiera

A margine di un esperimento di intelligenza artificiale poetica

Federico Gobbo
6 min readAug 15, 2020

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Ricordo quando venni a sapere un esperimento mentale di tanti anni fa. Ascoltavo mio padre discorrere di cibernetica, una disciplina scientifica defunta che è risorta dalle sue ceneri, contaminandosi in quelle che oggi chiamiamo informatica, teoria dei sistemi, intelligenza artificiale, fino alla recente filosofia dell’informazione. I cibernetici di allora – anni Sessanta e Settanta – amavano dire che mettendo un esercito di migliaia di scimmie ciascuna davanti a una macchina da scrivere prima o poi quasi sicuramente sarebbe saltato fuori un sonetto di Shakespeare. Sembra che fu Swift a parlarne per primo nella sua isola di Laputa, una delle tappe dei viaggi di Gulliver. Roba forte.

Il libro di Michele Laurelli (chi era costui?) porta per titolo Come un’anima di Cristo (anteprima). Di certo sarebbe piaciuto a quei cibernetici che dialogavano su come testare l’esperimento mentale delle scimmie poetiche. Prudentemente, Laurelli scrive in copertina ‘a cura di’. Le poesie non le ha scritte lui, almeno non direttamente; lui è autore sì, ma non dei componimenti poetici, bensì dei tre algoritmi per addestrare la rete neurale a produrli, questi componimenti — non oso chiamarle ‘poesie’.

Un autore-programmatore, dunque, inevitabilmente umano. Qui spiega in termini accessibili ai non addetti il dietro le quinte, per gli interessati. In termini ancora più semplici, per fare poesia la rete neurale ha bisogno gli algoritmi (una ricetta di cucina poetica, se vogliamo) e di un corpus linguistics di testi poetici, una serie di poesie esemplari, eccellente, da smontare e rimontare secondo tale ricetta. Il corpus prescelto è ‘costituito da alcuni tra i più importanti libri di poesia italiana del Novecento’, l’autore-programmatore ci informa nella prefazione. Il risultato è una poesia mediata dalla macchina, dunque, una poesia che esce come Minerva da Zeus, armata e pronta alla battaglia, da un mal di testa di uno Zeus fin troppo umano.

Ma non è forse sempre così? Non continuiamo forse a (ri)elaborare testi basandoci su quello che è stato scritto prima di noi? Cosa facciamo noi di diverso dalla macchina?

Vediamoli, questi risultati. Molti sono veri e propri esercizi di stile, alla Calvino o Queneau. Come viene richiesto a uno studente di composizione al Conservatorio una sonata alla Bach, così allo studente di poesia italiana di un ipotetico corso si potrebbe chiedere scrivere componimenti alla Eugenio Montale o alla Sandro Penna — nomi non casuali; sono poeti che non sono presenti nel corpus, si badi bene. Solo che in questo caso lo studente di poesia italiana è la rete neurale. Eccone un esempio:

Amore

sono un poeta

la mia bocca

che si apre nel dolce sospirare

non ha sete

Il lettore uso al linguaggio poetico potrà divertirsi nell’indovinare i poeti sui quali la rete è stata addestrata — l’autore-programmatore gentilmente me li ha detti in privato, e non li svelerò: per la cronaca, ne avevo indovinati un due terzi; bene ma non benissimo.

Al di là di questo piacere di hacking o ingegneria poetica inversa — comunque un piacere laterale, addirittura obliquo — la maggior parte delle poesie prodotte non rimangono impresse nella memoria. Questo va detto. Non sorprendono.

Ma giudicare questi componimenti con un metro di misura umano ha senso?

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Ho detto che queste poesie non sorprendono. La maggior parte. In qualche raro caso il risultato colpisce. E qui la faccenda si fa intrigante. Per esempio quando l’algoritmo svela la sua natura artificiale, con risultati che voi umani non avete mai visto, ci direbbe la macchina, mentre le lacrime si perdono nella pioggia. Il volume (che parola ironica, ‘volume’, per questo libro, non è vero?) ha un titolo efficace, scelto con sagacia dall’autore-programmatore, estratto da uno di questi svelamenti del Velo di Maya Artificiale. Si tratta di un componimento misterioso, vagamente inquietante:

Buio

come un’anima di Cristo

e tu lo dici

poeta sentimentale

fra i pianti

e le pupille ferme

nell’ombra

La sintassi poetica c’è, ma il perno immaginale, dopo quel Buio, risulta un po’ troppo oscuro ad occhi umani, anche per gli amanti della più estrema tradizione poetica del trobar clus.

L’interpretazione dell’intelligenza poetica sta tutta negli occhi dell’osservatore, non c’è nulla della macchina che osservi se stessa. La macchina non è cosciente, lo è il programmatore-autore della rete neurale, il quale ha scelto sapientemente un corpus poetico per l’apprendente artificiale, evitando insalate di registri linguistici troppo miste.

La macchina simula, spezzando le poesie del corpus in chunks, che altro non sono se non ciocchi grezzi di legno linguistico, non sintagmi dal senso compiuto. Il paradigma di base è sempre quello: words-as-strings, dove una parola è una serie di caratteri tra due spazi. Ma nella lingua gli spazi non sono tutti uguali: il sintagma ‘donna cannone’, cantato tra l’altro da Francesco De Gregori, non è la risultante dell’intersezione al prim’ordine di una donna e di un cannone; oppure, un articolo in più in meno può cambiare la semantica radicalmente, se è vero come è vero che un bacio di dama è un dolce mentre il bacio di una dama è tutt’altro. È tutta qui la magia dell’algoritmista, che con le sue formule inserisce le regole nella rete neurale, implicitamente linguistiche, e poi attende, impaziente, il risultato. Sperando in una o più soprese.

Questa macchina orgogliosa e inconsapevole insieme riesce a fare poesia, in un atto di hybris contro il suo creatore umano, a tratti svelando la sua natura artificiale.

E in un caso, almeno, raggiunge il sublime. Si salta sulla sedia, nel leggere questi pochi versi dal sapore cyberpunk:

Stelle

notte

una notte

sognava la tastiera

se mai voglia

sarà lume d’ombra

il tuo cuore

Poco importa che la tastiera del poeta umano fosse quella di un computer o più probabilmente di un pianoforte: l’inquietudine del lettore (umano) sorge nel vedere la macchina che mediante la tastiera riflette, apparentemente, sul suo processo di fare poesia (artificiale). Una macchina che sembra riflettere su se stessa ci appare umana, troppo umana.

Sia chiaro. Il piacere della lettura di questo libro sperimentale e direi anche coraggioso è del tutto umano. A partire dal lettore numero uno, vale a dire il programmatore-autore stesso. La macchina non legge se stessa dall’esterno. Questo non dimentichiamolo mai: la rete neurale non conosce, non sa. Vale la pena ripeterlo: la macchina simula un comportamento, è un als ob, un come se. Un trucco da prestigiatori. Ma la lettura non è spesso assistere a uno spettacolo di prestidigitazione?

Il lettore qui si aspetta di essere sorpreso dalla macchina, se e quando diventasse più umana dell’umano.

Si tratta di una sensazione nuova quella che produce la lettura di questo libro, una sensazione che nessun libro di poesie squisitamente umano può dare. E già solo questo valeva gli sforzi e l’impegno del programmatore-autore. Una sensazione di inquietudine, che genera la seguente, fondamentale, domanda.

Ha senso fare poesia nel 2020, se una macchina produce questo?

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Se la risposta a questa domanda fondamentale è affermativa, come cambia il nostro modo di fare poesia — sempre che cambi? In realtà per poter rispondere io ne vorrei di più.

Intendo, più poesia artificiale. Più dati. Più componimenti. Vorrei esplorare le potenzialità e i limiti della poesia intelligente artificiale. Facciamola lavorare, questa rete neurale. Sarebbe bello riaddestrare la rete neurale con corpora poetici scelti, sia di un solo autore che di autori affini, di scuola o di ambiente culturale e periodo storico. Magari l’autore-programmatore mi ascolterà e produrrà altra poesia algoritmica.

Non sareste curiosi di leggere petrarchismi artificiali? E se venissero fuori sonetti petrarcheschi simili ai tanti prodotti da epigoni umani del Petrarca, che sulla di lui opera si sono esercitati per secoli?

Tutto ciò non potrebbe cambiare il nostro modo di pensare la poesia? E riscoprire così il piacere della poesia naturale, scritta da esseri umani per esseri umani?

Post Scriptum: il libro è disponibile, ovviamente in formato digitale, per due nichelini, sulle solite piattaforme, o addirittura gratis, basta contattare Michele Laurelli.

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Federico Gobbo

Homo sum. Adpositional Argumentation. BaGuaZhang. Lebenskünstler. Eŭropano Italiano Amsterdammer. Ubi bene, ibi patria.